Intervista a Massimo Fustinoni – CEO Blotix Fund LLC
“La volatilità delle crypto è stress sistemico. Il futuro? È la finanza reale tokenizzata, non la moneta virtuale”.
L’annuncio di Bitdeer, uno dei miner più rilevanti del comparto, ha agitato il dibattito: 106,6 BTC venduti in una settimana. Poco, se rapportato alle riserve complessive. Poco, se inserito nella normale gestione industriale di un’azienda che deve sostenere costi energetici e operativi significativi. Eppure, il segnale ha colpito il mercato, già sensibile a ogni oscillazione del prezzo di Bitcoin. Per capire se questo episodio rappresenti un sintomo reale di stress oppure soltanto rumore di fondo, abbiamo intervistato Massimo Fustinoni, fondatore di Blotix, uno dei progetti più avanzati al mondo sul fronte della finanza decentralizzata applicata a beni reali. La sua lettura, netta e controcorrente, rimette in discussione l’intero paradigma crypto.
“La notizia non è Bitdeer. La notizia è la fragilità dell’intero comparto crypto”
D. Massimo, partiamo dai fatti. Bitdeer vende 106 BTC in settimana. È un segnale di stress o un evento fisiologico?
Massimo Fustinoni: «La vendita in sé non è un dramma. I miner vendono BTC per sostenere le loro operazioni: stipendi, energia, infrastrutture. Il vero tema è che il sistema crypto vive in una condizione di stress permanente, perché è legato a un asset iper-volatile che non genera reddito, ma solo plusvalenze eventuali. Ogni movimento sul prezzo si trasforma in panico o euforia. Questo non è un ecosistema maturo: è una sensazione collettiva che cambia di minuto in minuto.»
“Le crypto non hanno fondamentali: è qui che si genera lo stress”
D. Perché, a suo avviso, la volatilità delle crypto è diventata strutturale?
Massimo Fustinoni: «Perché manca un sottostante reale. Bitcoin è un asset speculativo, brillante per carità, ma non è legato a un modello economico produttivo. Quando il mercato scende, tutto il castello si muove insieme: miner, investitori, protocolli, liquidità su exchange. Nessun settore industriale può reggere una volatilità del 20–30% in pochi giorni senza generare stress sistemico. Le crypto non sono “il futuro della finanza”. Sono un laboratorio di esperimenti, alcuni utili, altri meno. Il futuro vero è altrove.
“La DeFi deve uscire dall’abstract: Blotix nasce per questo”
D. Quindi lei ritiene che la DeFi attuale sia un sistema irrisolto?
Massimo Fustinoni: «La DeFi ha un’enorme intuizione: disintermediare. Il problema è come lo fa. I protocolli attuali si muovono su valori astratti, token volatili, piattaforme che non hanno un reale ancoraggio alla produzione o agli asset economici. Blotix nasce proprio per superare questa fase storica. Io credo in una finanza decentralizzata che non viva sulle emozioni, ma sulla concretezza dei beni reali. Un asset reale non crolla del 40% in una settimana senza una ragione economica. Una criptovaluta sì. È qui la differenza concettuale.»
“Blotix è la continuità tra mondo reale e blockchain”
D. In cosa Blotix si distingue dal modello crypto tradizionale?
Massimo Fustinoni: «Blotix è una piattaforma che ha un obiettivo semplice e radicale: portare l’economia reale sulla blockchain, con ritorni misurabili e diritti chiari. Tokenizziamo beni reali e generiamo flussi reali, non volatilità.
Il nostro sistema è progettato per: – creare rendite passive sostenibili, legate a asset concreti; – fornire ai titolari un valore protetto dagli shock speculativi; – costruire una DeFi che non viva di hype, ma di economia.
È per questo che parlo di un “ritorno alla realtà”. La blockchain è uno strumento incredibile, ma deve smettere di essere un casinò globale.»
“Il valore identitario di un ecosistema che guarda alla stabilità”
D. Eppure il mondo crypto sembra più vivo che mai: ETF, halving, nuovi protocolli, AI-integration. Come si colloca Blotix in questo scenario?
Massimo Fustinoni: «Io non sono contro le crypto. Dico solo che non possono essere l’unico modello di decentralizzazione. La finanza del futuro dovrà essere ibrida: da un lato tecnologia avanzata, dall’altro asset di valore misurabile.
Il mercato ha bisogno di una nuova parola chiave: affidabilità. E la affidabilità, nella finanza, nasce da due elementi:
un sottostante reale;
un modello di distribuzione correttamente regolato.
Blotix è esattamente questo: la prima piattaforma decentralizzata che non crea volatilità, ma la assorbe, perché lavora su beni reali e su diritti digitalizzati.»
“Il 2026 sarà l’anno della tokenizzazione. Non delle crypto”
D. Da investitore e da costruttore di tecnologia, qual è la sua previsione?
Massimo Fustinoni: «Il 2026 sarà l’anno della Real World Asset Tokenization (RWA). Tutti i grandi attori della finanza stanno andando in quella direzione: BlackRock, Fidelity, JP Morgan, Citi, Goldman. Non stanno puntando su monete speculative, ma su asset tokenizzati, perché sanno che quello è il ponte tra economia reale e digitale. Blotix è in anticipo su questo movimento globale. Noi ci siamo già posizionati: liquidità, rendite, protezione del capitale. Questo è il nuovo paradigma. La volatilità del mondo crypto non scomparirà: semplicemente smetterà di essere la narrativa dominante.»
“Le crypto sono un esperimento. Blotix è un’infrastruttura.”
D. Se dovesse sintetizzare in una frase la differenza sostanziale?
Massimo Fustinoni: «Le crypto raccontano il futuro. Blotix lo costruisce.»
Donald Trump entra nelle Maldive non come turista, non come investitore tradizionale, ma come promotore di un nuovo esperimento che fonde lusso ultra-premium, real estate globale e tokenizzazione su blockchain. L’annuncio della costruzione del Trump International Hotel Maldives – in partnership con Dar Global, società londinese legata ai capitali sauditi – segna una svolta narrativa ed economica. Trump, che da sempre usa il proprio nome come leva commerciale, compie un passo ulteriore: non si limita più a battezzare torri, golf club o resort iconici, ma porta il suo laboratorio cripto nella fascia più alta del turismo contemporaneo, scegliendo uno dei luoghi più simbolici e fotografati del pianeta. L’operazione si presenta come un segnale preciso, che parla sia ai mercati sia alla politica internazionale.
La collaborazione con Dar Global, developer che agisce da ponte tra capitale mediorientale e mercato internazionale, non è un dettaglio secondario. La mossa arriva infatti alla vigilia della visita del principe ereditario Mohammed bin Salman a Washington, il primo viaggio negli Stati Uniti dopo sette anni, con focus su difesa, cooperazione nucleare e investimenti congiunti. Il timing è un messaggio implicito: mentre la diplomazia ricomincia a muoversi visibilmente, i capitali mediorientali e le strategie imprenditoriali americane avanzano insieme su un terreno dove la tecnologia trasforma la natura dell’investimento e la logica della proprietà. È il simbolo di una convergenza tra geopolitica, innovazione e turismo, capace di ridisegnare gli equilibri del settore.
Il resort previsto – circa 80 ville tra beach-front e overwater – sarà facilmente raggiungibile in barca da Malé, posizionandosi nella parte più esclusiva del segmento hospitality. La Trump Organization parla già di “esperienza ultra-luxury, con standard mai visti nell’arcipelago”, mentre Dar Global insiste sulla capacità del progetto di attrarre investitori globali. Ma l’aspetto davvero rivoluzionario è un altro: una parte del finanziamento avverrà tramite tokenizzazione dell’investimento, cioè la creazione e vendita di quote digitali registrate su blockchain, ciascuna delle quali rappresenta una frazione dell’operazione immobiliare.
La promessa è la seguente: rendere accessibile un asset da decine o centinaia di milioni a una platea di investitori più ampia, che può acquistare quote digitali negoziabili su piattaforme specializzate. L’investitore non possiede una villa, né un diritto d’uso, ma una partecipazione digitale che rappresenta una porzione del progetto nel suo complesso. Questa struttura, resa possibile dalla tecnologia blockchain, combina tracciabilità, immutabilità e una maggiore liquidità, perché la quota può essere rivenduta sul mercato senza dover aspettare la vendita tradizionale dell’immobile.
Trump e Dar Global puntano a posizionare l’iniziativa come il primo vero sviluppo alberghiero di lusso tokenizzato su scala mondiale. Da anni nel settore si parla di real estate tokenization, spesso con implementazioni limitate o sperimentali; questa operazione, invece, utilizza la forza del brand Trump e la spinta dei capitali sauditi per creare un caso internazionale che fa leva sia sulla comunicazione che sulla tecnologia. L’effetto è duplice: da un lato, si ridisegna la percezione del turismo di fascia alta, che da bene fisico diventa piattaforma digitale; dall’altro, si mostra come gli investimenti immobiliari possano muoversi più velocemente, senza le complessità tipiche dei grandi progetti.
Il punto chiave è che la tokenizzazione permette di frammentare economicamente un asset che, nella logica tradizionale, richiederebbe ticket d’ingresso elevatissimi. Un investitore medio può acquistare un token che rappresenta una parte infinitesimale del progetto, partecipando così indirettamente ai flussi finanziari attesi. In un mondo in cui la finanza si sta spostando verso modelli ad accesso graduale e distribuito, l’operazione delle Maldive interpreta una tendenza globale e la trasforma in un messaggio di mercato. Ed è significativo che ciò avvenga proprio attraverso una joint venture tra Stati Uniti e Arabia Saudita, due poli che da anni influenzano lo sviluppo del settore turistico di lusso e delle tecnologie emergenti.
Le Maldive, poi, rappresentano uno scenario ideale per lanciare un esperimento di questo tipo. L’arcipelago vive una doppia tensione: da un lato la dipendenza dal turismo extra-lusso; dall’altro la fragilità territoriale e climatica che impone modelli di investimento più sostenibili e intelligenti. I progetti alberghieri devono essere iconici, tecnicamente avanzati e coerenti con il contesto geografico. In questo ambiente, introdurre la blockchain come strumento di finanziamento non significa soltanto offrire una nuova forma di acquisto, ma anche tracciare tutte le fasi della costruzione, del controllo dei fondi e dei ritorni economici con una trasparenza che difficilmente si ottiene nei modelli tradizionali.
C’è poi la componente narrativa, essenziale nell’ecosistema Trump. Da qualche anno la famiglia ha intensificato la presenza nel mondo crypto, lanciando collezioni di NFT, iniziative commerciali e token di varia natura. La partnership con Dar Global non è un esperimento isolato, ma un tassello di un disegno più ampio che combina branding, politica e finanza digitale. L’idea di “Trump nel metaverso del turismo reale” è un messaggio che parla al pubblico tradizionale e a quello cripto: l’investimento fisico (il resort) diventa un asset digitale a cui si può partecipare attraverso la blockchain. È un modo per ampliare l’audience e per rendere Trump un marchio anche nel settore della token economy.
La scelta della località ha un vantaggio mediatico evidente. Le Maldive evocano immediatamente status, esclusività, acqua cristallina e lusso personalizzato. È uno dei pochi luoghi al mondo in cui il marchio Trump non deve sovrapporsi a un immaginario preesistente, ma può integrarsi in una narrazione che già parla di unicità. In un mercato globale sempre più affollato di progetti immobiliari iconici, agganciarsi a un arcipelago considerato simbolo di bellezza assoluta aumenta la forza comunicativa e moltiplica l’attenzione degli investitori.
La dimensione politica è altrettanto presente. L’avvicinarsi dell’incontro a Washington tra Trump (nella sua veste di figura chiave del panorama politico USA, al di là dell’incarico formale) e Mbs rende l’operazione un segnale internazionale. Il settore difesa, il nucleare civile e i mega-investimenti sono temi strategici; aggiungere un progetto immobiliare di lusso tokenizzato contribuisce a raccontare una relazione economica più ampia, che non riguarda soltanto i settori critici ma anche quelli culturali, turistici e tecnologici. L’hotel diventa un simbolo della nuova cooperazione possibile tra Stati Uniti e Arabia Saudita, e una dimostrazione di come i capitali possano muoversi in modo sinergico al di là delle tensioni diplomatiche.
Il fatto che la tokenizzazione venga presentata come “garanzia di trasparenza e affidabilità” aggiunge un elemento di fiducia. Per molti investitori, l’immobiliare turistico è un settore attraente ma anche rischioso, soprattutto in contesti insulari. La blockchain funziona come una sorta di libro mastro pubblico che certifica ogni passaggio, dalla raccolta dei fondi alle fasi di costruzione, fino alla gestione dei flussi economici. Se implementata correttamente, questa struttura può diventare un nuovo standard per i resort ultra-lusso, riducendo opacità e incertezze.
Resta da capire come si evolverà la struttura finanziaria dell’operazione. Alcuni analisti ritengono che la tokenizzazione possa funzionare in modo simile a un crowdfunding immobiliare di fascia alta, mentre altri la leggono come una forma di frazionamento sofisticato, pensato per istituzionali e investitori qualificati. Molto dipenderà dalle piattaforme che saranno utilizzate, dal quadro normativo della giurisdizione prescelta e dalla capacità di rendere effettivamente liquidi i token nelle fasi successive. In ogni caso, l’unione tra brand globale, capitali mediorientali e tecnologia blockchain genera un precedente che altri player vorranno osservare.
Il progetto inoltre si innesta in un momento in cui la geografia del lusso sta cambiando rapidamente. Le nuove generazioni di investitori cercano asset digitali con esposizione a beni reali. Vogliono la stabilità dell’immobiliare e la velocità della tecnologia. Vogliono flessibilità, liquidità e possibilità di ingresso modulabile. L’alleanza tra Trump e Dar Global si inserisce perfettamente in questa richiesta: un resort di lusso che può essere posseduto in quote digitali sembra uscire direttamente dal manuale del nuovo capitalismo ibrido. È un asset fisico ma anche una piattaforma digitale; è un progetto edilizio ma anche un prodotto finanziario; è un’icona turistica ma anche un token negoziabile.
A questo si aggiunge il bisogno delle Maldive di mantenere la propria leadership competitiva. In un mondo ricco di destinazioni tropicali, il Paese deve continuamente offrire nuovi motivi per attrarre investitori e turisti di fascia alta. Accogliere un progetto tokenizzato significa posizionarsi all’avanguardia dei modelli di finanziamento e dimostrare che l’arcipelago non è soltanto un luogo di vacanza, ma un laboratorio globale di innovazione nel settore hospitality. La scelta di un partner di forte visibilità internazionale amplifica il messaggio.
Il progetto è pensato per aprire entro il 2028, un orizzonte temporale che permette di osservare la maturazione dei mercati crypto e la stabilizzazione delle normative su blockchain, tokenizzazione e asset digitali. Se la regolamentazione seguirà un percorso favorevole, l’hotel potrebbe diventare un benchmark per la finanza immobiliare ibrida. Se invece i mercati dovessero muoversi con maggior cautela, resterà comunque uno dei primi esempi di applicazione concreta della tokenizzazione nel comparto hospitality ultra-luxury.
C’è infine la componente comunicativa: Trump sa bene che ogni iniziativa internazionale ha un impatto sulla percezione pubblica. Associare il suo marchio a una delle destinazioni più sognate del mondo crea un triangolo narrativo potente: crittovalute, capitali sauditi, paradiso tropicale. È una sintesi che parla a investitori, appassionati di tecnologia, analisti geopolitici e amanti del turismo esclusivo. Il resort non è solo un progetto immobiliare, ma una mossa strategica che mette insieme ambizione personale, calcolo politico e un modo nuovo di immaginare la proprietà.
La sfida maggiore sarà fare in modo che la tokenizzazione non resti soltanto un claim commerciale, ma si traduca in un reale vantaggio per chi investe. I progetti tokenizzati spesso si arenano quando manca una piattaforma solida o una liquidità sufficiente nel mercato secondario. Se Trump e Dar Global riusciranno a garantire un’infrastruttura digitale affidabile, regolamentata e intuitiva, l’iniziativa potrà diventare un caso di studio positivo e un modello replicabile in altre destinazioni di lusso. Anche perché la domanda è già evidente: gli investitori cercano asset tangibili con un’anima digitale, e il turismo di lusso è uno dei settori con il maggior potenziale di trasformazione.
In definitiva, l’operazione rappresenta un esperimento di capitalismo ibrido dove la tokenizzazione diventa il ponte tra un bene fisico prestigioso e un mercato globale che vuole accesso, liquidità e trasparenza. Trump e Dar Global stanno creando non solo un hotel, ma un precedente storico: un resort ultra-lusso che vive contemporaneamente nel mondo reale e nella dimensione digitale degli investimenti. Se funzionerà, cambierà il modo di finanziare i grandi progetti turistici. Se non funzionerà, avrà comunque inaugurato un trend che altri non potranno ignorare.
In un mondo che si muove verso modelli sempre più dinamici di proprietà, il Trump International Hotel Maldives rappresenta il tentativo più ambizioso di fondere crypto, real estate, geopolitica e turismo di lusso in un’unica narrazione globale. Le Maldive diventano così non solo una destinazione da cartolina, ma un banco di prova della nuova economia del turismo digitale, dove ogni investimento può essere diviso, tracciato e scambiato, e dove il lusso non è più soltanto un’esperienza, ma un asset fluido all’interno dell’ecosistema blockchain.
Il rapporto tra ISO 20022 e blockchain è uno dei temi più affascinanti e strategici della nuova finanza globale. Da un lato abbiamo lo standard universale dei messaggi finanziari, sviluppato dalla SWIFT e imposto progressivamente a tutte le banche e istituzioni entro il 2025, che definisce in modo chiaro, uniforme e trasparente la struttura con cui devono essere comunicati i dati di pagamento. Dall’altro lato abbiamo la blockchain, tecnologia decentralizzata che ha rivoluzionato il concetto stesso di transazione, rendendola immutabile, distribuita e verificabile senza bisogno di intermediari centrali. Due mondi apparentemente distanti, uno legato alla tradizione bancaria e regolamentata, l’altro nato dal basso, dall’innovazione disruptive delle criptovalute, ma che in realtà possono trovare un punto di contatto destinato a trasformare il sistema finanziario nel suo complesso.
Per capire il valore di questa connessione bisogna innanzitutto comprendere che cos’è ISO 20022. Si tratta di un linguaggio comune per i messaggi finanziari, un formato basato su XML e arricchito di dettagli che permettono di descrivere in modo preciso ogni pagamento, trasferimento di fondi, regolamento di titoli o operazione di tesoreria. A differenza dei vecchi formati MT, che erano rigidi e limitati, ISO 20022 è flessibile, interoperabile e ricco di dati. Permette quindi di collegare sistemi diversi, di ridurre errori, di automatizzare controlli e di migliorare la trasparenza complessiva.
La blockchain, invece, è un’infrastruttura che non definisce soltanto il messaggio, ma anche il registro stesso delle transazioni. Non si limita a standardizzare i contenuti: li custodisce in una catena di blocchi distribuita, accessibile e immutabile. In questo senso, se ISO 20022 è un linguaggio, la blockchain è una struttura ontologica del dato, un luogo in cui le informazioni non solo transitano, ma restano incise e condivise tra tutti i nodi della rete.
Da questa differenza nasce la possibilità di integrazione. Uno standard globale come ISO 20022 può infatti diventare la cornice che permette alla blockchain di dialogare in modo chiaro con il sistema bancario tradizionale. Oggi molte blockchain, che siano pubbliche come Ethereum o private come quelle utilizzate nei consorzi finanziari, hanno linguaggi e protocolli propri. Questo crea una frammentazione che limita la loro adozione di massa. Con ISO 20022, invece, diventa possibile armonizzare il dialogo: un pagamento effettuato in blockchain, se descritto con il linguaggio ISO 20022, può essere compreso da una banca, da un sistema di clearing, da una piattaforma di tesoreria aziendale.
Pensiamo alle CBDC, le valute digitali delle banche centrali. Molti progetti, dalla Digital Yuan cinese all’euro digitale in fase di sperimentazione, si basano su tecnologie simili alla blockchain o comunque su registri distribuiti. È evidente che queste nuove monete dovranno interagire con i sistemi bancari già esistenti, con i pagamenti transfrontalieri, con i circuiti internazionali. Senza uno standard comune, rischierebbero di diventare silos chiusi. Con ISO 20022, invece, ogni transazione in valuta digitale può essere rappresentata con lo stesso schema usato da qualsiasi pagamento tradizionale, aprendo la strada a una interoperabilità totale.
Il ruolo della tokenizzazione è un altro punto cruciale. Sempre più beni – immobili, opere d’arte, crediti commerciali, perfino titoli azionari – vengono trasformati in token e scambiati su blockchain. Ma per poter dialogare con i mercati regolamentati, questi token hanno bisogno di essere descritti in modo che le banche e le autorità possano riconoscerli. ISO 20022 fornisce quel vocabolario comune: consente di arricchire la descrizione del token con i dati richiesti, di uniformare il modo in cui viene registrata la transazione e di facilitare controlli, audit e processi di compliance.
La convergenza tra ISO 20022 e blockchain produce effetti anche sul piano della trasparenza. La blockchain, per sua natura, rende ogni operazione visibile e verificabile, ma spesso i dati non sono strutturati in maniera chiara per un sistema bancario. ISO 20022 aggiunge quella struttura, quel livello semantico che rende i dati leggibili da macchine e algoritmi di controllo. In altre parole, un pagamento registrato su blockchain con il formato ISO 20022 diventa non solo immutabile, ma anche interpretabile e integrabile in qualunque sistema finanziario globale.
Questa unione apre scenari inediti per la finanza decentralizzata (DeFi). Oggi la DeFi si sviluppa in un ecosistema parallelo, spesso distante dalle logiche bancarie. Con l’adozione di ISO 20022, invece, alcuni prodotti DeFi potrebbero iniziare a dialogare con il mondo regolamentato. Uno smart contract che gestisce un prestito in criptovalute, ad esempio, se costruito su messaggi conformi a ISO 20022, potrebbe essere compreso e riconciliato da una banca tradizionale. Ciò non significa ridurre la DeFi alla logica bancaria, ma aprire un ponte tra due mondi, permettendo a imprese e istituzioni di sfruttare la potenza della blockchain senza rinunciare agli standard di sicurezza e conformità.
È evidente che non si tratta di un cammino semplice. Le banche vedono nella blockchain sia un’opportunità che una minaccia. L’adozione di ISO 20022, però, può diventare un terreno neutrale, un linguaggio condiviso che abbassa le barriere e favorisce la sperimentazione. Per le aziende, la sfida sarà duplice: da un lato aggiornare i propri sistemi per essere compatibili con ISO 20022, dall’altro esplorare come questa compatibilità possa essere estesa anche alle blockchain usate nei processi di supply chain, nei pagamenti B2B o nella gestione dei dati sensibili.
Dal punto di vista tecnologico, la connessione tra ISO 20022 e blockchain significa lavorare su interfacce che traducano i messaggi XML nello standard richiesto dai registri distribuiti. Non si tratta di fantascienza: già oggi diverse fintech stanno sviluppando API che fungono da traduttori universali, capaci di trasformare una transazione in criptovaluta in un messaggio ISO 20022 leggibile da un sistema bancario, e viceversa. Questo non solo semplifica la riconciliazione, ma prepara il terreno a un ecosistema integrato in cui ogni pagamento, qualunque sia la sua origine, può essere processato senza attriti.
Dal punto di vista regolatorio, la convergenza porta vantaggi significativi. Le autorità hanno spesso guardato con diffidenza alle criptovalute proprio per la difficoltà di monitorarle. Se invece le transazioni su blockchain vengono arricchite e descritte con lo standard ISO 20022, diventa più facile applicare controlli antiriciclaggio, verificare la provenienza dei fondi, integrare i dati nei sistemi di supervisione. In questo modo, la blockchain smette di essere percepita come zona grigia e diventa parte integrante di un sistema regolato.
Il futuro della finanza potrebbe quindi essere ibrido: da un lato registri distribuiti che garantiscono velocità, resilienza e sicurezza, dall’altro uno standard come ISO 20022 che garantisce uniformità, interoperabilità e riconoscimento legale. Insieme creano un’infrastruttura capace di rispondere alle esigenze del mercato globale: rapidità, trasparenza, affidabilità e scalabilità.
Guardando avanti, possiamo immaginare scenari concreti. Un’impresa italiana potrebbe emettere un token rappresentativo di un credito commerciale sulla blockchain. Questo token, descritto con messaggi ISO 20022, verrebbe immediatamente riconosciuto dal sistema bancario, che lo tratterebbe come un titolo valido ai fini del finanziamento. Oppure pensiamo a una transazione internazionale in cui un fornitore cinese viene pagato in yuan digitali: se la transazione è strutturata con ISO 20022, la banca europea ricevente può integrarla senza difficoltà nei propri sistemi contabili.
L’integrazione tra ISO 20022 e blockchain, insomma, non è soltanto un tema tecnico. È un nuovo paradigma culturale: riconosce che la finanza del futuro non sarà più divisa tra tradizione e innovazione, ma dovrà fondersi in un ecosistema unico, capace di valorizzare la stabilità degli standard e la creatività delle tecnologie emergenti.
È chiaro che le resistenze non mancheranno. Molti operatori temono i costi della transizione, la complessità tecnica, la difficoltà di formare il personale. Ma la storia della finanza insegna che ogni standard vincente è stato inizialmente accolto con scetticismo. Oggi, quando parliamo di SEPA per i pagamenti europei, ci sembra naturale che esista un sistema uniforme. Domani, parlare di blockchain compatibile con ISO 20022 sarà altrettanto naturale.
In definitiva, la sinergia tra ISO 20022 e blockchain rappresenta la via maestra per un sistema finanziario globale realmente connesso, sicuro e aperto a nuove opportunità. Non è solo un tema di efficienza tecnica, ma una questione di visione: costruire un linguaggio comune che permetta a ogni innovazione di essere integrata senza barriere, aprendo la strada a una finanza universale.
Svettlana Chatterjee is a young leader who combines strategic vision with operational substance.
She founded CorpX, a platform that helps people transform their ideas into actual companies, providing legal, technological and financial support. In just a few years, she has led the company to collaborate with institutions and international partners, introducing artificial intelligence solutions into corporate processes and startup management. She has worked on large-scale projects across Asia, the Middle East and Africa, managing infrastructure development and economic innovation programs at the government level. She is a recognized voice in youth entrepreneurship, with international awards and public speaking engagements, including a TEDx talk on the role of innovation and women’s leadership. Beyond her professional profile, there is a genuine curiosity for everything that connects economics, technology and humanity. Svettlana believes that real progress begins when ideas become instruments of inclusion, not only growth. Interview with Svettlana Chatterjee – “Digital income generated from the real world”
Svettlana, blockchain is often surrounded by technical jargon. How do you interpret it from your perspective as an analyst and innovator? For me, blockchain is a language of trust. It is the first technology capable of combining transparency, security and autonomy in a single system. Instead of asking people to believe an intermediary, it allows them to verify everything directly. It is a cultural revolution before being an economic one.
In recent years, there has been an increasing focus on the tokenization of real assets. What does this evolution represent? It is the shift from static ownership to dynamic valorization. Tokenization not only digitalizes an asset; it places that asset in an economic system that recognizes its value in real time. It is a way to give continuous economic life to what already exists, without altering its nature.
Blotix is working on this model, linking real assets to a passive yield of 2.5%. How do you evaluate this formula? I see it as an interesting example of sustainable finance applied to the digital domain. Blotix chose a prudent approach, anchored to moderate and verifiable returns — the 2.5% yearly — based on real assets, not on speculative mechanisms. It is a choice of seriousness in a sector where easy promises often dominate.
So, in this case, is blockchain a guarantee of transparency? Yes, but not only that. It is also a criterion of efficiency. Blockchain makes it possible to trace every phase of the process and reduce intermediation costs. Trust becomes an objective fact, not a subjective variable. This is where technology meets ethics.
As an advisor, what stands out to you in the Blotix project in Dubai? The ability to integrate innovation and concreteness. In Dubai, I have seen an ecosystem that does not chase technological fashion but builds a real base for the digital economy. Blotix moves in this direction: it creates bridges between investors, companies, and technologies in a pragmatic way, aligned with financial transparency principles.
How important is Dubai for an initiative of this type? Very important. Dubai is a natural platform for regulated experimentation. It offers an environment that is favorable to innovation yet governed by clear rules and an international vision. It is a context in which hybrid economic models like Blotix — combining real and digital — can be tested with balance.
What distinguishes Blotix’s 2.5% passive yield from other DeFi models? Precisely, its connection with reality. Here, the yield comes from a real, verifiable economy, not from internal mechanisms that multiply risk. It is a “slow” but stable income, designed to last, not to attract speculators.
More broadly, how do you see the future of the digital economy? I see it as an interdependent ecosystem where real value and digital value sustain each other. The economy of the future will not be virtual: it will be transparent, traceable and shared. Platforms like Blotix represent a step in that direction, but the challenge will be to preserve human centrality in an increasingly automated world.
Is there a lesson that traditional finance can take from these experiences? Yes: trust is no longer a matter of belief, but a technical fact. Transparency can be programmed. When technology is placed in the service of clarity, finance becomes understandable and accessible again.
A final thought on the future you imagine? I like to think of an economy where profits do not measure progress, but by continuity and participation. If blockchain and models like Blotix remain human in their function, then digital can truly become a language of freedom — not of distance.
A concluding thought by Svettlana Chatterjee The future will be a blend of reality and digital. Assets and ideas will be able to live in both worlds, generating value in a transparent and accessible way. When used with conscience, technology does not replace human beings. It gives them more time and more freedom. Real innovation is not the accumulation of wealth. It is the ability to find the right balance between value and life.
Nel vasto e affascinante universo delle criptovalute e della DeFi (Decentralized Finance) si sta giocando una delle partite più intriganti e, al tempo stesso, più insidiose della finanza moderna. Da un lato troviamo un’enorme promessa di libertà economica, disintermediazione, accesso universale al credito e agli investimenti; dall’altro un terreno ancora fragile, dove i rischi per gli investitori retail possono tradursi in autentiche voragini finanziarie. È un equilibrio sottile, che oscilla tra l’innovazione tecnologica e la mancanza di tutele consolidate, tra opportunità straordinarie e insidie che solo chi ha il coraggio e la competenza può provare a fronteggiare.
Le criptovalute non sono più un gioco per soli pionieri o nerd informatici. Sono entrate nel linguaggio comune, nelle strategie di molti portafogli e persino nelle valutazioni di banche e istituzioni. Ma ciò che affascina di più, per gli investitori retail, è proprio la sensazione di potersi sedere allo stesso tavolo dei grandi, con la possibilità di moltiplicare il capitale in tempi rapidi, sfruttando la volatilità dei mercati digitali. La stessa volatilità, tuttavia, si rivela spesso una lama a doppio taglio, capace di spazzare via in pochi giorni anni di risparmi. Il problema principale è che le criptovalute non sono legate a fondamentali tradizionali come utili aziendali, immobilizzazioni o flussi di cassa: sono asset puramente speculativi, il cui valore dipende in larga parte dalla fiducia collettiva, dalle mode del momento e, non di rado, da vere e proprie manipolazioni di mercato.
Se il Bitcoin rappresenta la punta dell’iceberg, percepita come una sorta di “oro digitale” per la sua scarsità programmata e la notorietà globale, il resto del mercato crypto è popolato da migliaia di altcoin, token nati per finanziare progetti più o meno seri, talvolta con business plan solidi, talvolta con obiettivi decisamente fumosi. Per non parlare delle meme coin, nate come scherzi e arrivate a muovere miliardi. Tutto questo rende il mercato crypto un ambiente ad altissimo rischio, dove la due diligence per chi investe dovrebbe essere non solo consigliata, ma obbligatoria. Eppure, moltissimi investitori retail vengono attratti solo dal grafico in salita, dall’entusiasmo collettivo e dall’illusione di poter “entrare prima” del grande boom.
La DeFi, evoluzione diretta dell’ecosistema crypto, aggiunge un ulteriore livello di complessità e di rischio. La finanza decentralizzata promette un sistema completamente disintermediato, dove smart contract e protocolli automatizzati sostituiscono banche, broker e perfino autorità di vigilanza. Puoi prestare e prendere in prestito, investire in pool di liquidità, fare trading con leva, tutto questo senza passare da un istituto tradizionale e spesso senza nemmeno fornire un documento d’identità. È una rivoluzione? Certo. Ma è anche una giungla, dove bug nel codice, rug pull orchestrati dai creatori di un progetto e attacchi hacker possono far sparire in un attimo i fondi degli utenti.
A differenza di una banca tradizionale, un protocollo DeFi non offre nessuna garanzia sui depositi, nessuna assicurazione, nessun Fondo Interbancario di Tutela. Quando un protocollo viene violato, o un pool di liquidità collassa, non c’è call center né arbitro bancario a cui rivolgersi: il capitale è perso, senza possibilità di recupero. Eppure milioni di utenti retail continuano a inseguire i rendimenti a doppia o tripla cifra offerti dai progetti DeFi, spinti da una fame di guadagni rapidi che spesso non tiene conto della proporzione rischio/rendimento. Non è raro imbattersi in pool o staking che promettono un APY (Annual Percentage Yield) del 1000% o più, cifre che dovrebbero allertare chiunque. Ma la psicologia umana tende a sottovalutare il rischio quando la prospettiva del guadagno diventa troppo allettante.
Un altro rischio sottile, ma devastante, è quello fiscale e normativo. Molti investitori retail ignorano completamente le regole tributarie legate alle plusvalenze su criptovalute, che in diversi Paesi sono trattate alla stregua di ogni altro guadagno da investimento. Un errore di compilazione, o peggio ancora una mancata dichiarazione, può trasformarsi in cartelle salate o in accertamenti fiscali che rovinano la tranquillità familiare. Inoltre, il panorama normativo sulle criptovalute e la DeFi è in continua evoluzione: ciò che oggi è permesso potrebbe non esserlo domani, o richiedere adempimenti sempre più stringenti in materia di KYC (Know Your Customer) e antiriciclaggio.
Eppure, sarebbe miope vedere in questo solo un grande Far West da evitare. Perché la stessa forza dirompente della DeFi sta spingendo il sistema finanziario tradizionale a evolvere. Sono già molti gli istituti che stanno studiando soluzioni ibride, tokenizzando asset tradizionali o sfruttando blockchain private per ridurre tempi e costi nelle transazioni internazionali. Inoltre, la tecnologia alla base delle criptovalute, ovvero la blockchain, è un’innovazione che va ben oltre il mero trading speculativo: offre trasparenza, immutabilità dei dati, possibilità di audit in tempo reale, e potrebbe rivoluzionare settori come la logistica, il voto elettronico, la gestione delle identità digitali.
Per un investitore retail che desidera entrare in questo mondo, la parola d’ordine dovrebbe essere formazione. Troppi si lasciano trasportare dai consigli trovati sui social o dai video di influencer senza alcuna competenza finanziaria, dimenticando che dietro la DeFi si celano algoritmi complessi, dinamiche di liquidità, rischi di collaterale e liquidazioni automatizzate. Comprendere come funzionano realmente uno smart contract, un AMM (Automated Market Maker), o un oracle di prezzo può fare la differenza tra un investimento consapevole e una scommessa cieca.
La gestione del rischio diventa dunque un aspetto centrale. Allocare solo una piccola parte del proprio portafoglio in crypto e DeFi, diversificare tra progetti solidi e liquidità, evitare l’effetto FOMO (Fear of Missing Out), sono regole di buon senso che però vengono troppo spesso ignorate. È fondamentale considerare le criptovalute non come un sostituto dei tradizionali investimenti, ma come un’aggiunta speculativa ad alto rischio, da monitorare costantemente e con la consapevolezza che il capitale può anche azzerarsi.
Un discorso a parte merita la sicurezza operativa. Conservare i propri token in un exchange centralizzato espone al rischio di default o attacchi hacker all’exchange stesso, come hanno insegnato i casi di Mt. Gox o FTX. Le soluzioni più sicure, come i cold wallet o i ledger hardware, sono strumenti che ogni investitore serio dovrebbe imparare a utilizzare. Eppure, proprio perché più complessi, vengono spesso scartati in favore della comodità di un wallet online.
Il futuro delle criptovalute e della DeFi resta quindi appeso a un filo che intreccia regolamentazione, maturità tecnologica e cultura finanziaria degli utenti. Se da un lato banche centrali e governi stanno sviluppando CBDC (Central Bank Digital Currency) e regolamenti più stringenti, dall’altro la comunità crypto continua a spingere per mantenere la decentralizzazione come valore fondante. Sarà questo scontro – o dialogo, a seconda dei punti di vista – a definire il perimetro entro cui si muoveranno gli investimenti retail nei prossimi anni.
Nel mezzo restano le storie di chi ha cambiato vita grazie a un investimento azzeccato e di chi, invece, ha visto svanire i risparmi di una vita per non aver saputo gestire l’avidità e il rischio. È un terreno affascinante, dove tecnologia e psicologia si intrecciano in un modo che nessun altro settore finanziario aveva mai sperimentato. Ed è proprio qui che risiede la più grande lezione per l’investitore retail: il rischio è sempre proporzionale all’opportunità. E chi vuole inseguire guadagni a due o tre zeri deve essere pronto a pagarne il prezzo.