Intervista a Giovanni Felice di Prisco
Economista e Dottore Commercialista, esperto in Internazionalizzazione e Management Strategico ed ESG, componente del Comitato Scientifico del Centro delle Relazioni dell’Africa presso la Società Geografica Italiana fondatore in “di Prisco & Associati” Italia - Tunisia
D. dott. di Prisco, partiamo da un punto chiave: perché oggi parlare di tokenizzazione del patrimonio immobiliare e artistico?
Perché l’Europa, e in particolare l’Italia, siede su una montagna di valori improduttivi. Abbiamo beni che generano solo costi di mantenimento e nessuna rendita sociale o economica. La tokenizzazione è un modo per restituire liquidità a patrimoni dormienti, traducendo la proprietà in economia digitale. È la finanza che incontra la sostenibilità reale.
D. La tokenizzazione può quindi trasformare l’onere del patrimonio in un’opportunità economica?
Esattamente. Un immobile storico che oggi pesa sui bilanci pubblici o familiari può diventare un asset che genera flusso economico. È un cambio di paradigma: dalla titolarità di un bene reale ad una rendita passiva.
D. Come si colloca Napoli in questo scenario?
Napoli è il laboratorio ideale. È una città dove la ricchezza patrimoniale convive con la povertà di strumenti economici evoluti. Le famiglie nobili possiedono palazzi, collezioni e terreni che rappresentano un’identità, ma non più reddito. La tokenizzazione può essere il ponte tra storia e futuro: valorizzare senza alienare.
D. E per i terreni agricoli o di pascolo? Spesso abbandonati, ma potenzialmente strategici.
Sono una risorsa sottovalutata. Tokenizzarli significa creare “proprietà” funzionali a progetti di agricoltura sostenibile, energia rinnovabile e filiera corta. È la “green economy” che diventa piattaforma.
D. In molti temono che la tokenizzazione sia solo speculazione digitale. Come si evita questo rischio?
Con la trasparenza delle regole e la tracciabilità della blockchain. Se il progetto nasce da una governance seria, con obiettivi di sviluppo misurabili e una valutazione reale dei beni, non è speculazione, ma innovazione economica. Bisogna distinguere la finanza dell’illusione dall’economia generatrice di ricchezza.
D. Lei parla spesso di “crescita verde” e “innovazione blu”. Come si inseriscono in questo discorso?
La tokenizzazione è un acceleratore “Verde” perché libera risorse per progetti sostenibili, “blu” perché collega economia e ambiente marino, in particolare nei porti e nelle coste. Immagini una rete di token collegati a immobili costieri, cantieri, porti turistici ed imbarcazioni di un certo valore economico, storico ed artistico: si genera un ecosistema che finanzia sé stesso. L’innovazione blu è anche sociale.
D. E per quanto riguarda il patrimonio artistico privato, spesso custodito da famiglie storiche?
Qui la tokenizzazione può agire come strumento di tutela. Le opere d’arte restano fisicamente dove sono, ma la loro rappresentazione digitale consente di raccogliere fondi per restauri, musealizzazioni o esposizioni. È una forma di mecenatismo digitale.
D. Le pubbliche amministrazioni italiane potrebbero beneficiare di questo modello?
Assolutamente. Hanno migliaia di immobili abbandonati o in degrado, spesso vincolati e non alienabili. La tokenizzazione può trasformarli in strumenti di partecipazione civica: il cittadino o l’impresa investono in un progetto di rigenerazione e ne condividono i benefici. È un modo nuovo di fare politica economica territoriale.
D. Quali sono gli ostacoli principali oggi?
Due: la diffidenza culturale e l’arretratezza normativa. In Italia c’è ancora l’idea che “virtuale” significhi “fittizio”, mentre in realtà parliamo di strumenti che danno forma digitale a beni reali. Serve una cornice giuridica chiara, capace di tutelare gli investitori e di valorizzare il bene collettivo. La tecnologia è pronta, le istituzioni meno.
D. Se dovesse sintetizzare in una frase la visione per il futuro, quale sarebbe?
“La tokenizzazione è il linguaggio del patrimonio che vuole rinascere”.
Non è una moda dell’economia, ma una nuova grammatica del valore: capace di coniugare la memoria storia, la sostenibilità e le risorse economiche per affrontare la transizione sostenibile. Se Napoli saprà leggerla, potrà tornare a parlare al mondo nella sua lingua più autentica: quella della “bellezza produttiva”.