Calogero Di Carlo, 65 anni, originario di Cefalù, già Responsabile Nazionale delle sedi UniPegaso e della rete Olympo (100 sedi d’esame) dal 2010 al 2020, punto di riferimento per una rete di oltre 600 poli didattici in Italia. Ex carabiniere, ha saputo trasformare la disciplina militare in visione manageriale, guidando l’espansione dell’università telematica con energia e metodo. Dinamico e trascinatore, ha fatto della comunicazione digitale la sua cifra, convinto che il web sia lo strumento decisivo per abbattere steccati e restituire ai giovani le chiavi del futuro.
La sua carriera nella formazione online inizia oltre quindici anni fa a Siena, con un progetto che permise la laurea a 20.000 marescialli dell’Arma. Da allora ha contribuito a consolidare Pegaso come alternativa concreta e complementare all’università tradizionale, accessibile economicamente e logisticamente. Nel cuore di Palermo, a Palazzo Mazzarino, coordinava una squadra di sessanta persone con l’entusiasmo di chi crede profondamente nella “next generation”.
Animatore di progetti innovativi come l’e-tour di storytailoring, ha coniugato radici territoriali e tecnologia globale. Per Di Carlo la formazione non è solo titolo, ma esperienza che costruisce consapevolezza, sacrificio e dignità. La sua missione è offrire pari opportunità reali, rendere la conoscenza un bene condiviso e guidare i giovani italiani verso una cittadinanza globale, competitiva e responsabile.
Intervista al Prof. Calogero Di Carlo
D: Professore, la tokenizzazione dei beni reali è spesso descritta come un’innovazione tecnologica. Quali sono, secondo lei, i presupposti filosofici che la rendono anche un cambiamento culturale ed economico?
R: La tokenizzazione non è solo un fatto tecnico, ma un atto culturale. È il passaggio dalla proprietà intesa come possesso fisico a una forma simbolica e condivisa. Filosoficamente significa riconoscere che il valore non risiede più solo nella materia, ma nella relazione codificata tra individui e comunità. Sul piano economico apre a nuovi mercati, e sul piano sociale rompe vecchie barriere di accesso.
D: Un NFT che rappresenta un bene reale non è solo codice, ma un titolo di valore. Che differenza vede tra questo nuovo strumento digitale e i tradizionali atti giuridici che storicamente hanno sancito la proprietà?
R: L’atto giuridico tradizionale si fonda sulla parola scritta e sull’autorità che la certifica. L’NFT, invece, è auto-esecutivo e immutabile: non richiede interpretazione, perché è già prova e strumento insieme. In questo senso la blockchain inaugura una nuova grammatica del diritto, meno formale e più sostanziale.
D: Gli smart contract promettono trasparenza e automatismo. Ma fino a che punto possiamo considerare il codice una forma di diritto? È solo esecuzione tecnica o già principio normativo in sé?
R: Il codice è esecuzione, ma nella sua precisione assoluta assume anche funzione normativa. Non sostituisce il diritto, ma ne diventa un’estensione operativa. In pratica, l’algoritmo non crea valori, ma li custodisce e li rende inalterabili. È qui che tecnologia e filosofia giuridica si incontrano.
D: La blockchain elimina gli intermediari. Dal suo punto di vista, questo è solo efficientamento economico o un passo verso una più autentica democrazia contrattuale?
R: È entrambe le cose. Certo, riduce costi e tempi. Ma soprattutto restituisce ai contraenti il potere di autogestirsi. È democrazia contrattuale perché non ci sono più stanze chiuse né filtri opachi: tutto è verificabile, tutto è condiviso.
D: Se un bene fisico diventa anche bene digitale, cosa accade al concetto classico di proprietà? È un rafforzamento della libertà individuale o una sua trasformazione in senso relazionale e condiviso?
R: È una trasformazione. La proprietà resta individuale, ma assume una dimensione ulteriore: quella relazionale. Un bene digitalizzato non appartiene più solo al singolo, perché la sua rappresentazione sulla blockchain lo colloca dentro una rete di diritti e doveri visibili a tutti.
D: Molti temono che l’algoritmo sostituisca la legge. Lei ritiene che la normatività algoritmica sia un rischio per la coscienza giuridica, o può diventare uno strumento per custodire nuove forme di giustizia?
R: È un rischio se l’algoritmo diventa cieco meccanismo, ma può essere un’opportunità se lo intendiamo come strumento. La vera sfida è non confondere il codice con la coscienza. La legge nasce da valori condivisi, il codice ne garantisce l’attuazione. Solo insieme possono custodire la giustizia.
D: Parliamo di rendite passive generate da beni tokenizzati. Non è solo un’opportunità economica: può essere anche un modello di redistribuzione della ricchezza e di accesso più equo al valore?
R: Esattamente. La tokenizzazione rende liquidi beni che prima erano immobili o inaccessibili. In questo modo il valore può circolare meglio, aprendo possibilità a soggetti che tradizionalmente erano esclusi. È un modello che potenzialmente democratizza l’economia.
D: Quale ruolo gioca la fiducia in questo scenario? È ancora fondata sull’autorità delle istituzioni o si sposta verso la certezza matematica della blockchain? E questo cosa significa per l’evoluzione sociale?
R: La fiducia si sposta dal potere istituzionale alla trasparenza matematica. Questo non elimina lo Stato o la legge, ma li obbliga a confrontarsi con una nuova forma di autorità: quella della certezza algoritmica. Socialmente è una rivoluzione, perché la legittimità non è più solo verticale, ma distribuita.
D: Blotix Fund LLC propone un’economia fondata su libertà e trasparenza. Lei crede che questa infrastruttura digitale possa diventare anche una nuova forma di cittadinanza globale?
R: Sì, perché l’NFT non conosce confini geografici. Un contratto scritto sulla blockchain è universale, riconoscibile da chiunque. Questo crea i presupposti per una cittadinanza che non si fonda sul territorio, ma sulla partecipazione a regole condivise.
D: Guardando al futuro, come immagina il rapporto tra blockchain, formazione universitaria e responsabilità collettiva? È possibile che la tokenizzazione diventi non solo un mezzo finanziario, ma un paradigma educativo e civile?
R: È già così. La blockchain è anche strumento educativo: insegna rigore, trasparenza, responsabilità. Tokenizzare significa imparare a vedere il valore non come possesso statico, ma come relazione dinamica. E questo ha ricadute civili enormi, perché forma cittadini più consapevoli e capaci di navigare nel mondo digitale senza smarrire la propria coscienza critica.
Conclusioni del Prof. Calogero Di Carlo
«La tokenizzazione dei beni reali, la blockchain e gli smart contract non sono soltanto strumenti finanziari: sono il linguaggio di una nuova epoca. Ogni rivoluzione tecnologica porta con sé il rischio di ridurre l’uomo a semplice utilizzatore, ma anche l’opportunità di renderlo protagonista. Io vedo in questa infrastruttura digitale un invito a riscoprire la responsabilità, perché la trasparenza non ci solleva dall’impegno, ma ce lo restituisce in modo più netto.
Blotix Fund LLC, con la sua proposta di trasformare beni concreti in certificati digitali, dimostra che la tecnologia può essere al servizio della libertà, non della sua compressione. Possedere un bene oggi significa anche saperlo condividere in una rete globale di valore. E questo è il cuore della trasformazione: la proprietà non perde la sua identità, ma si arricchisce di una dimensione relazionale e comunitaria.
Il futuro della blockchain non sarà deciso da algoritmi o da governi, ma da come i cittadini sapranno viverla. È un cammino educativo prima che economico. Dobbiamo formarci e formare i giovani a leggere la tecnologia come strumento di emancipazione. Solo così la democrazia contrattuale diventerà realtà, e la trasparenza matematica si unirà alla coscienza etica. Questo è il vero orizzonte: non un mondo dominato dal codice, ma un mondo abitato dall’uomo che sa governare il codice.»